Il PuntoSVIMEZ – Estate 2024

Ago 1, 2024 | Punto Svimez

L’approvazione da parte della cabina di regia del Piano Strategico della Zes Unica completa il complesso percorso di attuazione della riforma delle Zone Economiche Speciali voluta dal Governo Meloni. Come noto, la riforma si è incentrata sul superamento del precedente modello, introdotto nel 2017 dal Governo Gentiloni e caratterizzato da 8 Zone collocate nelle diverse regioni del Sud, con epicentro nelle strutture portuali. La nuova Zes Unica supera la precedente perimetrazione e si estende all’intero territorio meridionale, scegliendo di fatto il criterio dell’”unicità” a scapito della “specialità”. La nuova Zes Unica ha poco a che fare con le esperienze internazionali di Zone speciali (in Cina le più note, ma anche in Europa ci sono esperienze importanti come in Polonia), sia per l’estensione territoriale, sia per la perdita di ancoraggio a un fattore specifico di competitività territoriale – nel caso italiano la portualità e la logistica.

Per esprimere una valutazione della riforma, dobbiamo innanzitutto chiederci se le vecchie Zes fossero coerenti con un modello internazionale di successo e in grado di raggiungere gli obiettivi che le erano stati attribuiti. Le informazioni disponibili, molto frammentarie, confermano grandi difficoltà attuative: 3 anni solo per la loro approvazione, governance mutata diverse volte con ruolo sempre meno determinante delle autorità portuali e piena operatività raggiunta solo dopo l’ennesima riforma, attuata dal Governo Draghi a fine 2021. Molto deludente, soprattutto, il dato delle autorizzazioni uniche concesse per nuovi investimenti: appena 121 al 31 agosto 2023, a 5 anni dalla loro istituzione. Infine, le 8 Zes hanno anche subìto, nel corso del tempo, forti spinte territoriali che ne hanno esteso eccessivamente la perimetrazione: sono state inglobate nuove aree individuate sulla base di valutazioni prettamente politiche, anziché attinenti ai legami funzionali con i settori oggetto dell’intervento.

In questo quadro, la ZES Unica segna il passaggio da un’azione specifica e mirata a determinate aree a un tentativo di operazione di sistema, che estende a tutto il Sud i vantaggi fiscali e di sburocratizzazione. Gli strumenti previsti dalla ZES Unica di fatto configurano una, sia pur limitata, fiscalità di vantaggio nel Mezzogiorno (un credito d’imposta Sud rafforzato), che si associa a una semplificazione amministrativa per nuovi investimenti nei settori strategici.

L’elemento di maggiore novità, ancora potenziale, è tuttavia rappresentato dal tentativo, dopo molti anni di politiche orizzontali, di impostare una strategia organica per il rafforzamento industriale del Mezzogiorno attraverso il ritorno a un principio di selettività, funzionale all’obiettivo di irrobustire alcune filiere strategiche nazionali ed europee identificate nel Piano. Il potenziale della Zes Unica non è, dunque, tanto negli strumenti specifici previsti, quanto nella possibilità di orientare e coordinare, sulla base di strategie definite a livello di macroarea, anche le altre programmazioni di sviluppo territoriale (PNRR e fondi di coesione in primis).

Questa dovrebbe essere la funzione strategica della Zes Unica. Un tema centrale, ad avviso della SVIMEZ, passato in secondo piano nel dibattito pubblico, anche per la concomitante pubblicazione del provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che ha determinato, in base al volume delle prenotazioni, la percentuale del credito d’imposta effettivamente fruibile in appena il 17 per cento dell’importo richiesto. Un fattore di incertezza che, se non tempestivamente superato, condizionerà significativamente il volume di investimenti attivati.

Al di là della sua funzione “burocratica”, il Piano deve essere valutato – a nostro avviso – come documento strategico che, se adeguatamente implementato, potrebbe favorire un maggiore coordinamento del complesso delle politiche per le imprese finanziate sui fondi di coesione nazionali ed europei, oggi spesso frammentate a livello territoriale.

Il Piano strategico identifica le sue priorità a partire da un’analisi descrittiva inedita (realizzata con il supporto della SVIMEZ) – basato su elementi quantitativi integrati con dati e informazioni di carattere qualitativo sulla struttura produttiva meridionale – che ha la duplice finalità di far emergere la distribuzione corrente delle specializzazioni nel Mezzogiorno e prospettare le opportunità di sviluppo di domani. Le direttrici produttive correnti e prospettiche sono individuate adottando un approccio di filiera, l’unico in grado di valutare il potenziale produttivo e occupazionale latente da mobilitare e l’effettiva estensione e rilevanza delle catene di fornitura coinvolte, cogliendo la complessità dell’economia nazionale e meridionale e l’interdipendenza tra i diversi settori.

La principale novità dello studio sta proprio nell’integrare gli indicatori di specializzazione strutturale, di area e regionali, con categorie analitiche addizionali, in grado di rappresentare il dinamismo delle diverse filiere in base a 6 dimensioni: (1) competitività, (2) proiezione internazionale, (3) mercato del lavoro, (4) competenze, (5) progettualità e (6) frontiera tecnologica.

Una simile metodologia ha consentito di identificare 9 filiere strategiche da rafforzare: Agroindustria, Turismo, Elettronica&ICT, Automotive, Made in Italy, Chimica&farmaceutica, Navale&cantieristica, Aerospazio e Ferroviario. A ciò si aggiunge l’identificazione, in coerenza con la piattaforma delle tecnologie strategiche (STEP) adottata dalla Commissione europea, di tre tecnologie trasversali da promuovere: le tecnologie digitali, le tecnologie per la transizione e le biotecnologie. Per ciascuna di queste, il Piano identifica aree di intervento (semiconduttori, batterie, intelligenza artificiale, fotovoltaico, eolico, idroelettrico, dispositivi medici) funzionali alla promozione di un’industria meridionale moderna e innovativa, capace di posizionarsi su segmenti ad alto valore aggiunto.

Un primo tassello di una strategia che richiederà condivisione della visione prospettica e capacità attuative, che al momento non sembrano emergere, anche alla luce della confusione sul credito d’imposta. Un primo tassello che ha tuttavia il pregio di restituire centralità all’investimento industriale nel Mezzogiorno, funzionale, questa volta, al conseguimento degli obiettivi europei, non più solo nazionali, della «doppia transizione» e dell’«autonomia strategica». E con la possibilità aggiuntiva di coniugare lo sviluppo dell’industria con la sostenibilità ambientale e sociale.

È venuto il momento di riaprire nel Paese un dibattito che, al di là dell’azione congiunturale di questo Governo, riaffermi il “doppio dividendo” di un disegno di politica industriale per il Mezzogiorno in grado di rafforzare il suo ruolo nel contesto della riconfigurazione delle catene globali del valore e delle opportunità di sviluppo aperte dalle transizioni digitale, energetica e green, per le specializzazioni già presenti e per il potenziale attrattivo che potrebbe esercitare nei settori a elevata tecnologia.

Nel recepire la svolta dell’approccio europeo alle politiche industriali, la politica nazionale è nelle condizioni di stimolare l’integrazione del Mezzogiorno nelle filiere strategiche europee, coerentemente con gli obiettivi nazionali di politica industriale, promuovendo un polo di sviluppo incentrato sull’espansione della capacità manifatturiera nei settori trasformativi delle transizioni.

Fotovoltaico, eolico, idrogeno, batterie per l’Automotive sono esempi di settori che potrebbero aprire una nuova prospettiva industriale per l’area meridionale. La presenza delle fonti naturali delle energie verdi e, di conseguenza, degli impianti finali per la produzione di rinnovabili determinano una competitività “di prossimità” tale da consentire la creazione nel Mezzogiorno di un polo produttivo che coinvolga l’intera filiera produttiva delle rinnovabili, invece che relegarlo meramente ad hub energetico o a luogo dove installare tecnologie verdi prodotte altrove.

Alla luce di queste nuove opportunità, è dunque utile richiamare quanto affermato da Pasquale Saraceno in occasione della presentazione del primo Rapporto SVIMEZ nel 1974:

«Le prospettive di industrializzazione del Mezzogiorno vanno collocate nelle strategie di riconversione e di rinnovamento tecnologico e produttivo dell’apparato industriale europeo. Evitare che il Mezzogiorno ne resti escluso, è compito primario della politica industriale nazionale e degli strumenti che essa adotta anche e soprattutto al di fuori dell’area meridionale e nella cui elaborazione l’obiettivo dell’industrializzazione del Mezzogiorno deve essere dunque adeguatamente rappresentato. È questa, del resto, una condizione indispensabile perché si possa richiedere che, anche in sede europea, la politica regionale non si esaurisca in una mera assegnazione di mezzi finanziari.» (SVIMEZ, 1974).

La lezione di Pasquale Saraceno, riportata al contesto corrente, mantiene una straordinaria attualità, riproponendo il tema “antico” delle politiche (industriali, infrastrutturali e del lavoro) per l’integrazione del Mezzogiorno, come parte di una strategia di rilancio dell’economia nazionale ed europea nelle mutate condizioni competitive globali. Con una priorità su tutte: tornare a una politica industriale attiva che riconosca il contributo potenziale del sistema produttivo del Mezzogiorno, che già oggi ospita realtà integrate nelle filiere strategiche europee, per coniugare obiettivi di politica industriale e politica energetica, promuovendo al contempo la coesione territoriale.

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